Faq 1

1) Modifiche sostanziali e non sostanziali di cui all’art. 120, commi 6 e 7: quali sarebbero le modifiche non sostanziali effettivamente ammissibili? Il combinato disposto dai commi 6 e 7 sembra escludere ogni possibilità (e il richiamo al comma 6 dei commi 1 e 3 – “fermo restando” sembra avvalorare l’idea che le definizioni di cui al comma 6 stesso delle modifiche che sono in ogni caso sostanziali sia da interpretarsi nel senso che anche le modifiche di cui ai commi 1 e 3 potrebbero in astratto ritenersi sostanziali: così da far ritenere che il comma 6 debba interpretarsi in modo estensivo)

Risposta) La disciplina delle modifiche del contratto in corso di esecuzione è inserita nell’articolo 120, che riproduce, seppur con alcuni cambiamenti, l’articolo 106 del D.lgs n. 50 del 2016.
La disposizione, nell’ottica di semplificazione e snellimento che caratterizza il nuovo Codice, ricalca quella precedente, e le principali novità riguardano la generale ammissibilità che si riconosce alle modifiche non sostanziali e, di conseguenza, l’inquadramento giuridico e l’individuazione della variante sostanziale.
Più nello specifico, il comma 1 è riservato alle modifiche consentite dal punto di vista qualitativo, perché non snaturanti, e la lettera a) sancisce la possibilità di inserire nei documenti di gara specifiche clausole, chiare, precise e inequivocabili, che introducono specificazioni sulle soglie ammesse.
Il comma 2 regola le modifiche, sempre non snaturanti, accolte in ragione del dato quantitativo, per cui, nei casi stabiliti al comma 1, lettere b) e c), ovvero per i servizi supplementari, il contratto può essere modificato con aumento di prezzo non eccedente il 50 per cento del valore del contratto iniziale (nulla di nuovo sul punto).
Fin qui nulla di nuovo se non l’eliminazione della lett. e) del comma 1 del previgente art. 106, inserendo nel solo comma 5 la previsione della generale ammissibilità delle modifiche non sostanziali.
Così come formulato, peraltro, il disposto normativo del comma 7 del nuovo Codice permette una discrezionalità ampia sia alla stazione appaltante che all’appaltatore, seppur apparentemente delimitata dai parametri di cui alle lettere a) e b), ispirati entrambi ai principi del risparmio e del miglioramento tecnico/economico.
Sotto il profilo pratico, tuttavia, non pochi possono essere i problemi operativi per il RUP a fronte di possibili e reiterate istanza volte a modificare sistematicamente l’impostazione progettuale ottimizzando i costi di approvvigionamento.
Non è difficile immaginare come l’operatore economico possa, nei vari scenari operativi, cavalcare la previsione normativa che permetterebbe nei limiti delle somme previste nel quadro economico di proporre soluzioni dichiarate equivalenti o migliorative in termini economici, tecnici o sui tempi di ultimazione.
Il tardivo riscontro da parte del RUP, in assenza di espressa previsione normativa, potrebbe addirittura ribaltare sulla committenza l’omesso e tempestiva istruttoria e il ritardo conseguente nell’attuazione della commessa.
Risulta, d’altronde, ben evidente l’atteggiamento di favore che l’ordinamento mostra nei confronti del mantenimento del contratto: si preferisce far ricorso ad alcuni principi di carattere generale che possano plasmare il rapporto contrattuale, inducendo le parti al suo riequilibrio in itinere, piuttosto che il rimedio della risoluzione, applicabile esclusivamente in extrema ratio.
Risponde, infatti, a questa esigenza, ed all’enunciazione di principio contenuta nell’articolo 9 del nuovo Codice, quanto stabilito dal comma 8 dell’articolo 120: in tale sede il legislatore favorisce e caldeggia la rinegoziazione del contratto tramite clausole ad hoc previste nel contratto o mediante richiesta espressa che l’appaltatore formula al Rup (alla cui ricezione quest’ultimo “provvede a formulare “la proposta di un nuovo accordo entro tre mesi”), arrivando finanche a prevedere che la parte svantaggiata, in assenza di un accordo, agisca in giudizio per ottenere l’adeguamento del contratto “salva la responsabilità per la violazione dell’obbligo di rinegoziazione”.
Tale innovazione normativa risponde all’esigenza di venire incontro alla parte contrattualmente svantaggiata dalla reformatio in peius del sinallagma contrattuale manifestatasi nel corso dell’esecuzione del contratto, che in questi ultimi anni ha spesso originato un uso eccessivo ed indiscriminato dell’art. 1467 cc al fine di ottenere un riequilibrio, ora assicurato da questa statuizione.
La generale ammissibilità delle varianti non sostanziali risulta, inoltre, coerente con il raggiungimento dell’obiettivo di risultato che il nuovo Codice si pone, tanto da consentire a tal fine una maggiore elasticità al progetto per compensare gli aumenti dei costi delle costruzioni.
La seconda importante novità che viene introdotta nel nuovo Codice riguarda la definizione di modifica sostanziale. Il comma 6 della disposizione ripropone gli aspetti più significativi e innovativi dell’articolo 72 della direttiva 2014/24/UE. A differenza della disciplina precedente, si è preferita una nozione unitaria di modifica “snaturante”, in armonia con la disciplina comunitaria, che utilizza una terminologia piuttosto generica ma pragmatica, consentendo le modifiche che non alterano “la natura generale del contratto”.
La nuova norma, perciò, tralasciando le ricostruzioni dottrinali più teoriche sugli elementi essenziali del contratto, traspone il concetto di non alterazione della sua natura generale con la seguente dizione: “nonostante le modifiche, la struttura del contratto o dell’accordo quadro e l’operazione economica sottesa possano ritenersi inalterate” (commi 1, 3 e 5).
Vi sono altre due novità da evidenziare all’interno dell’articolo, una introdotta dal comma 11 del nuovo testo ed un’altra caratterizzata dalla soppressione dei commi 9 e 10 dell’art. 106 del vecchio Codice 50/16, entrambe incentrate sul principio del risultato e finalizzate ad ottenere uno snellimento procedurale.
Il comma 11 dell’art. 120, all’istituto dell’ “opzione di proroga” già previsto dal vecchio Dlgs 50/16 aggiunge quello della proroga tecnica, di cui viene consentita l’adozione nei casi eccezionali di “oggettivi e insuperabili ritardi “ nella conclusione della procedura di affidamento del contratto: in siffatte evenienze viene consentita la proroga del contratto con l’appaltatore uscente al fine di scongiurare situazioni di pericolo a persone, cose, animali, igiene pubblica che potrebbero scaturire dall’eventuale interruzione delle prestazioni.
Al contrario, invece, l’articolo oggi esaminato sopprime i commi 9 e 10 dell’art 106 del Dlgs 50/16 ove veniva previsto il cosiddetto errore progettuale; in tale circostanza il legislatore ha ritenuto inopportuna un’apposita previsione dell’errore progettuale all’interno della norma sulle modifiche sia perché l’eventuale errore non risulterebbe determinante ai fini dell’inserimento nella fattispecie variante piuttosto che nella fattispecie modifica sia (soprattutto) perché la disciplina delle conseguenze sulla responsabilità dei progettisti è stata inserita nella parte del Codice destinata a regolamentare la progettazione
In estrema sintesi, quindi, la modifica di un contratto o di un accordo quadro durante il periodo della sua efficacia è considerata sostanziale ai sensi dell’art. 120, comma 6, quando altera considerevolmente la struttura del contratto o dell’accordo quadro e l’operazione economica sottesa e cioè gli elementi essenziali del contratto originariamente pattuiti. Fatti salvi i commi 1 e 3, in ogni caso, una modifica è considerata sostanziale se si verificano una o più delle seguenti condizioni:
1. la modifica introduce condizioni che, se fossero state contenute nella procedura d’appalto iniziale, avrebbero consentito l’ammissione di candidati diversi da quelli inizialmente selezionati o l’accettazione di un’offerta diversa da quella inizialmente accettata, oppure avrebbero attirato ulteriori partecipanti alla procedura di aggiudicazione;
2. la modifica cambia l’equilibrio economico del contratto o dell’accordo quadro a favore dell’aggiudicatario in modo non previsto nel contratto iniziale;
3. la modifica estende notevolmente l’ambito di applicazione del contratto;
4. un nuovo contraente sostituisce quello cui la S.A. aveva inizialmente aggiudicato l’appalto in casi diversi da quelli previsti al comma 1, lettera d).
Tali principi sono stati ribaditi anche dall’Anac (“Richiesta di parere del 03 febbraio 2017 presentata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Segretario Generale), che ha richiamato, in particolare, il contenuto della sentenza della Corte di Giustizia del 13 aprile 2010 nella causa C-91/08, in base alla quale “Al fine di assicurare la trasparenza delle procedure e la parità di trattamento degli offerenti, le modifiche sostanziali […] costituiscono una nuova aggiudicazione di appalto, quando presentino caratteristiche sostanzialmente diverse rispetto a quelle del contratto […] iniziale e siano, di conseguenza, atte a dimostrare la volontà delle parti di rinegoziare i termini essenziali di tale appalto”: un criterio di identificazione delle nuove aggiudicazioni tramite modifiche sostanziali di cui la giurisprudenza comunitaria ha fatto applicazione anche di recente (cfr. Corte giustizia UE, Sez. IV, 14 maggio 2020, n. 263).
Da tale definizione di modifiche essenziali è possibile, a contrario, definire anche le modifiche che, in assenza delle predette caratteristiche, devono essere considerate non sostanziali e quindi consentite. Si tratta di una valutazione che il legislatore rimette alla discrezionalità della stazione appaltante, chiamata a decidere sulla base del dato normativo e delle diverse circostanze del caso concreto, con le note conseguenze sul piano del giudizio di spettanza e della riedizione del potere in caso di impugnazione del provvedimento.
In ogni caso, le modifiche essenziali attribuiscono alla stazione appaltante un diritto alla risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 122, comma 1, lett. a).
Ai sensi del comma 1, lett. a) dell’art. 120, i contratti di appalto possono essere modificati senza una nuova procedura di affidamento, fra l’altro, “se le modifiche, a prescindere dal loro valore monetario, sono state previste in clausole chiare, precise e inequivocabili dei documenti di gara iniziali, che possono consistere anche in clausole di opzione”.
La previsione di clausole chiare che definiscono la portata e le condizioni delle modifiche contrattuali, ha un solo limite, ben preciso, individuato nella mancata alterazione della natura generale del contratto. Il fine è evidente ed è quello di rendere chiara all’operatore economico la convenienza dell’appalto. Non essendo previsto, invece, un limite economico vi è il rischio che tale strumento possa diventare un istituto di critica applicazione nelle mani delle stazioni appaltanti che, per ovviare magari a mancanze di fondi al momento della gara, potrebbero utilizzare impropriamente le modifiche contrattuali. Trattandosi, infatti, di uno strumento molto legato alla discrezionalità dell’amministrazione, è auspicabile che i Piani anticorruzione degli enti richiamino l’utilizzo dell’incremento opzionale dei contratti pubblici enucleandone i limiti di applicazione.
Ai sensi del comma 7 dell’art. 120 “Non sono considerate sostanziali…le modifiche al progetto proposte dalla stazione appaltante ovvero dall’appaltatore con le quali, nel rispetto della funzionalità dell’opera: a) si assicurino risparmi, rispetto alle previsioni iniziali, da utilizzare in compensazione per far fronte alle variazioni in aumento dei costi delle lavorazioni; b) si realizzino soluzioni equivalenti o migliorative in termini economici, tecnici o di tempi di ultimazione dell’opera”.
Ciò premesso, per rispondere al quesito, si evidenzia che il richiamo dei commi 1 e 3 di cui al comma 6 dell’art. 120, va letto nel senso che un limite insormontabile alla conservazione del contratto è costituito dal ricorso a modifiche che alterino la struttura del contratto o dell’accordo quadro e l’operazione economica ad essi sottesa.

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