Faq 2

2) Qual è l’ambito di applicazione del codice? le definizioni di stazione appaltante e contratto di appalto sono sostanzialmente circolari. Il tema si pone in relazione ai concessionari, per i quali l’art. 186 prevede che essi seguano il codice se sono stazioni appaltanti. Ma non c’è la relativa definizione di “stazione appaltante”, che non è neppure prevista dalle direttive comunitarie. Semmai le direttive n. 23 e 25 del 2014 (rispettivamente art. 7 e art. 4) definiscono gli “enti aggiudicatari” ricomprendendovi le imprese pubbliche e prevedendo che esse sottostiano alle direttive stesse (mentre per tali disposizioni non si considerano titolari di diritti esclusivi quelli acquisiti da soggetti che non sono imprese pubbliche e che hanno ottenuto l’esclusiva attraverso criteri obiettivi, ossia attraverso gara). L’esito è che i concessionari di lavori e servizi scelti con gara applicano il codice solo se sono imprese pubbliche?

Risposta
L’esecuzione del contratto di concessione è disciplinata dagli articoli 176 a 192 del Codice dei contratti pubblici. Con la norma in analisi (art. 186, comma 1) il legislatore ha imposto l’applicazione delle disposizioni del Codice nel caso di appalti affidati dai concessionari che siano stazioni appaltanti.
Il legislatore intende con ciò disciplinare l’affidamento di contratti pubblici da parte del concessionario, nel caso in cui quest’ultimo presenti requisiti tali da essere qualificato come “amministrazione aggiudicatrice”. È evidente che in tal caso i concessionari vengano qualificati come amministrazioni aggiudicatrici in ragione della loro riconducibilità al novero della categoria degli “organismi di diritto pubblico”. In tale circostanza, ove il concessionario intenda procedere all’affidamento di un appalto a terzi, sarà tenuto all’osservanza integrale delle disposizioni del Codice. In sostanza, le regole della procedura ad evidenza pubblica vengono così estese ad una serie di affidamenti per i quali, in passato, era consentita un’elusione delle norme concorrenziali in materia.
La ratio sottesa all’intervento del legislatore è all’evidenza rinvenibile nella traslazione dell’onere della procedura pubblica comunitaria e di riportare al mercato una serie di affidamenti che nel passato erano stati indebitamente sottratti ad esso in violazione dei principi del Trattato.
Con riferimento all’affidamento a soggetti terzi, e tenuto conto del ruolo di amministrazione aggiudicatrice che i concessionari di lavori pubblici e servizi ricoprono in questa circostanza, per questi ultimi è da ritenere, altresì, obbligatoria l’applicazione altresì della disciplina in materia di qualificazione delle stazioni appaltanti, dettata dall’articolo 63 del Codice e dell’allegato II.4 per le procedure di importo superiore alle soglie indicate dal comma 1 dell’art. 62.
La risposta al quesito se “i concessionari di lavori e servizi scelti con gara applicano il codice solo se sono imprese pubbliche” è pertanto negativa.
Ricorrendo, infatti, alle definizioni fornite dall’art. 3 del previgente Codice, si nota che: per stazioni appaltanti si intendono le amministrazioni aggiudicatrici di cui alla lettera a) gli enti aggiudicatori di cui alla lettera e), i soggetti aggiudicatori di cui alla lettera f) e gli altri soggetti aggiudicatori di cui alla lettera g); per imprese pubbliche si intendono le imprese sulle quali le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante o perché ne sono proprietarie, o perché vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù delle norme che disciplinano dette imprese.
Orbene, secondo l’art. 3, comma 1, lett. e), sono enti aggiudicatori le imprese pubbliche che svolgono una delle attività tra quelle indicate dagli articoli 115 a 121 (c.d. “settori speciali”). Tale norma succede a quella già contemplata dal d.lgs. 163/2006 (art. 3, comma 29), che aveva attuato la direttiva 2004/17/CE, varata al dichiarato fine di garantire la tutela della concorrenza in relazione a procedure di affidamento di appalti da parte di enti operanti in settori sottratti, per il passato, alla concorrenza e al diritto comunitario dei pubblici appalti, i c.d. settori esclusi, che, dopo l’intervento comunitario, sono divenuti i settori speciali (ex esclusi).
L’assoggettabilità dell’affidamento di un appalto alla disciplina dettata per i settori speciali non può essere, quindi, assunta a criterio discriminante l’applicabilità delle disposizioni del Codice in materia di appalti ex art. 186, comma 1, giacché sarebbe riduttiva la portata della norma in argomento se la si ritenesse riferita esclusivamente agli appalti affidati dai concessionari rientranti nei settori speciali.
In definitiva, quindi, non si può applicare la disposizione esclusivamente in relazione a servizi collegati al settore speciale di riferimento; va, infatti, evidenziato che il legislatore limita l’autonomia negoziale delle imprese pubbliche, imponendo loro determinate regole, solo perché in determinati settori, caratterizzati da un sostanziale monopolio, è necessario favorire la concorrenza. Tali esigenze, tuttavia, non sussistono qualora l’appalto non rientri nei settori speciali né sia strettamente strumentale all’attività propria del concessionario di pubblico servizio.

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