Faq 3

3) Rinegoziazione di cui all’art. 9: è possibile inserire clausole nel bando che facciano assumere qualsiasi rischio all’appaltatore, così escludendo sempre la rinegoziazione?

Risposta
Il nuovo codice appalti disciplina espressamente la rinegoziazione del contratto e la revisione dei prezzi quali declinazioni del fondamentale principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale contenuto nell’art. 9, secondo cui “se sopravvengono circostanze straordinarie e imprevedibili, estranee alla normale alea, all’ordinaria fluttuazione economica e al rischio di mercato e tali da alterare in maniera rilevante l’equilibrio originario del contratto, la parte svantaggiata, che non abbia volontariamente assunto il relativo rischio, ha diritto alla rinegoziazione secondo buona fede delle condizioni contrattuali”.
In altri termini, la novella – che è solo l’ultima delle misure adottate nel tempo per fronteggiare le problematiche connesse alla modifica dei contratti pubblici di appalto in corso di esecuzione sorte durante la fase pandemica e la successiva crisi macro-economica che avevano indotto il legislatore ad adottare una serie di misure emergenziali (i.e. D.L. 73/2021; D.L. 4/2022; D.L. 36/2022; D.L. 50/2022) – attribuisce fondamentale rilievo all’equilibrio contrattuale durante l’esecuzione del contratto, attribuendo, alla parte danneggiata da una causa straordinaria e imprevedibile che alteri il rapporto esistente, il diritto di chiedere la rinegoziazione del contratto.
Così operando – i.e. introducendo un’apposita previsione nel settore dei contratti pubblici – il legislatore ha inteso superare la disciplina sull’eccessiva onerosità sopravvenuta di cui all’art. 1467 c.c., che – come noto – consente alla parte danneggiata di ottenere – in assenza di un’offerta della controparte di equa modifica delle condizioni – soltanto la risoluzione del contratto.
In altri termini, il cd. Nuovo Codice ha tentato di supportare, nella logica anche del pubblico interesse alla conservazione del contratto, l’utilizzo – fermo restando il generale divieto alla rinegoziazione del contratto (che pur rimane: si veda sotto questo profilo la previsione di cui all’art. 9, comma 2) – di uno strumento che preserva l’efficacia del contratto (la rinegoziazione, appunto) anziché un rimedio di tipo demolitorio (la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta).
Per quanto la norma non sia di univoca lettura, infatti, sembrerebbe – l’interpretazione letterale muove in tal senso – che la rinegoziazione del contratto si qualifichi come diritto soggettivo in capo alle parti, con conseguente attrazione delle relative controversie nella cognizione del giudice ordinario.
Quel che è certo è che essa costituisce un tassello importante nella gestione della fase esecutiva dei contratti pubblici: ciò a maggior ragione se letta in combinato disposto con le novità introdotte in tema di revisione dei prezzi cui l’art. 9 fa espresso riferimento al comma 5.
Infatti, il Nuovo Codice – all’art. 60 – prevede l’obbligo delle stazioni appaltanti di inserire, nei documenti di gara, clausole di revisione dei prezzi da attivarsi al ricorrere di “particolari condizioni di natura oggettiva che determinano una variazione del costo dell’opera, della fornitura o del servizio, in aumento o in diminuzione, superiore al 5 per cento dell’importo complessivo e operano nella misura dell’80 per cento della variazione stessa, in relazione alle prestazioni da eseguire”. Più in dettaglio, la menzionata previsione introduce un meccanismo revisionale automatico operante in presenza di circostanze che determinino una variazione sull’importo del contratto oltre una determinata soglia (determinata sulla base di appositi indici ISTAT), disciplinando altresì gli specifici capitoli di spesa cui le Pubbliche Amministrazioni devono “attingere” per fronteggiare i conseguenti maggiori oneri.
A completamento della disciplina, la norma chiarisce che la rinegoziazione non altera il finanziamento complessivo dell’opera, perché è ammessa nei limiti dello stanziamento di bilancio originario, a valere sulle somme del quadro economico (imprevisti, accantonamenti, ribassi d’asta). La procedura di revisione prezzi, infine, è regolata dal nuovo art. 60, non solo per i contratti di lavori ma anche per quelli di servizi e forniture, e rende obbligatorio l’inserimento delle clausola di revisione nei contratti pubblici (l’art. 106 del previgente Codice prevedeva invece solo una facoltà in questo senso).
In questo ambito, la ricostruzione del quadro normativo in materia di appalti pubblici, come è noto, incontra il principio generale per cui il bando, il disciplinare di gara e il capitolato speciale d’appalto costituiscono nel complesso la lex specialis di gara ed hanno natura vincolante per concorrenti e stazione appaltante, dovendosi garantire sempre la corrispondenza fra l’appalto messo in gara e quello eseguito, in ossequio ai principi richiamati [cfr. delibera Anac n. 159/2021, ANAC parere di precontenzioso 23/2021/S, e giurisprudenza di legittimità e merito: TAR Emilia Romagna, sez. I, 8 febbraio 2021 n. 88; TAR Calabria, Catanzaro, 26 marzo 2020 n. 504; TAR Abruzzo L’Aquila, 1 giugno 2019 n. 280, TAR Lazio Roma sez. II, 18 ottobre 2019 n. 12051; Tar Basilicata sez. I, sentenza 08 marzo 2017 n. 195 ; TAR Venezia, 20 ottobre 2016 n. 1163; Consiglio di Stato, sez. III, 10 giugno 2016, n. 2497].
Il contratto d’appalto pubblico è quindi generalmente sottoposto ad un divieto di modifiche soggettive ed oggettive. La revisione, nei contratti di appalto di servizi e forniture di durata, dunque, si può prevedere, ma deve seguire il procedimento delineato nei documenti di gara. E’ chiaro, peraltro, che la modifica non deve alterare la natura del contratto per non incidere, in ultima analisi, sul rispetto della par condicio tra i concorrenti.
Va detto, per completezza di analisi, che recentemente, per tutte, il Tar Campania, Napoli, Sez. V, 16/06/2022, n. 4095, ha affermato che anche l’espressa esclusione negli atti di gara di ogni ipotesi di revisione del prezzo (oggi non più possibile) non vuol dire che “l’impresa appaltatrice rimanga sprovvista di mezzi di tutela nel caso in cui si verifichi un aumento esorbitante dei costi dell’appalto in grado di azzerarne o comunque di comprometterne in modo rilevante la redditività; nel corso del rapporto, infatti, anche in presenza di una previsione escludente della legge di gara, qualora si verifichi un aumento imprevedibile del costo dell’appalto in grado di alterare il sinallagma contrattuale, rendendo il contratto eccessivamente oneroso per l’appaltatore, questi può sempre esperire il rimedio civilistico di cui all’art. 1467 c.c., chiedendo la risoluzione del contratto di appalto per eccessiva onerosità sopravvenuta, alle condizioni previste dalla norma e, ovviamente, con azione proposta dinanzi al giudice competente”. Lo stesso TAR Campania, tuttavia, ribadisce che sia nella vigenza del previgente Codice di cui al D. Lgs. 50/2016, la presenza (oggi obbligatoria, grazie al nuovo art. 60 del vigente Codice) della clausola di revisione dei prezzi nei contratti ad esecuzione continuata e periodica esige la prova rigorosa della “imprevedibilità” delle circostanze sopravvenute.
Pertanto la circostanza che il disposto dell’art. 1664 c.c. non sia direttamente applicabile ai contratti pubblici non implica affatto l’automaticità della revisione prezzi, ancorata pur sempre ad un sopravvenuto squilibrio del rapporto contrattuale, dovendo la ratio della revisione prezzi, come innanzi osservato, ravvisarsi nell’esigenza di coniugare l’obiettivo di contenimento della spesa pubblica con quella di garantire che le prestazioni di beni o servizi da parte degli appaltatori delle Amministrazioni pubbliche non subiscano con il tempo una diminuzione qualitativa a causa degli aumenti dei prezzi dei fattori della produzione, incidenti sulla percentuale di utile considerata in sede di formulazione dell’offerta, con conseguente incapacità del fornitore di far fronte compiutamente alle stesse prestazioni.
Alla stregua di tali considerazioni, la determinazione della revisione prezzi viene effettuata dalla stazione appaltante all’esito di un’istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi (Consiglio di Stato, sez. III, 9/1/2017, n. 25) secondo un modello procedimentale volto al compimento di un’attività di preventiva verifica dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale, che sottende l’esercizio di un potere autoritativo di carattere discrezionale dell’amministrazione nei confronti del privato contraente, potendo quest’ultimo collocarsi su un piano di equiordinazione con l’amministrazione solo con riguardo a questioni involgenti l’entità della pretesa.
E’ del tutto evidente, quindi, che il fatto che si tratti di appalti pubblici non è secondario nell’individuazione della disciplina da applicare nel caso delle sopravvenienze che alterano l’equilibrio contrattuale, dovendo l’interesse pubblico essere sempre prioritariamente tutelato.
Tutto ciò peraltro si pone in linea con la ratio dell’istituto della revisione contrattuale dei prezzi, che la giurisprudenza ha da tempo ben delineato, chiarendo che esso non può prefiggersi lo scopo d’azzerare il rischio di impresa, in quanto l’alea tipica della tipologia contrattuale sottoscritta deve essere e deve restare in capo al privato contraente: “Se indubbiamente il meccanismo deve prevedere la correzione dell’importo previsto ab origine in esito al confronto comparativo — per prevenire il pericolo di un’indebita compromissione del sinallagma contrattale — il riequilibrio non si risolve in un automatismo perfettamente ancorato ad ogni variazione dei valori delle materie prime (o dei quantitativi), che ne snaturerebbe la ratio trasformandolo in una clausola di indicizzazione” (T.A.R. Brescia, sez. I, 03/07/2020, n. 504; TAR Trieste, sez. I, 7 luglio 2021 n. 211); TAR Lombardia n. 238/2022; in tal senso anche TAR Lombardia n. 181/2022).
In altri termini, dunque, la possibile fluttuazione del costo di realizzazione di un’opera o di realizzazione di un servizio è insita nella natura stessa del contratto d’appalto, ragione per la quale la revisione prezzi si pone nel solco della natura commutativa (dunque non aleatoria) del contratto di appalto (lavori) o di somministrazione (servizi).
Ci sarà tempo per approfondire la disciplina della gestione delle sopravvenienze disciplinata nel nuovo Codice, ma nel frattempo vale la pena riportare le indicazioni contenute nella Relazione, che sembrano confermare gli approdi giurisprudenziali visti sopra. Innanzi tutto, viene chiarita la finalità dell’introduzione dell’art. 9, che mira a colmare un vuoto normativo codificando “una disciplina generale da applicare per la gestione delle sopravvenienze straordinarie e imprevedibili considerate dalla disposizione, tali da determinare una sostanziale alternazione nell’equilibrio contrattuale, con effetti resi di recente drammaticamente evidenti dalla congiuntura economica e sociale segnata dalla pandemia e dal conflitto in Ucraina”. In questo quadro, però , il legislatore del 2023 ha ben presente il fatto che trattandosi di appalti pubblici, non è possibile semplicemente richiamare ed applicare gli istituti civilistici che operano in tema di sopravvenienze contrattuali, in quanto “a venire in rilievo, (…) sono contratti pubblici connotati dalla conformazione in ragione delle finalità di pubblico interesse perseguite che restano immanenti al contratto e al rapporto che ne scaturisce, con conseguente esclusione della possibilità di accedere a una integrale trasposizione delle regole civilistiche e necessità di favorire il raggiungimento di un giusto punto di equilibrio idoneo a preservare tali interessi assicurando al tempo stesso adeguata ed effettiva tutela agli operatori economici”. Il sistema della contrattualistica pubblica viene dunque arricchito di un “rimedio manutentivo del contratto, maggiormente conforme all’interesse dei contraenti – e dell’amministrazione in particolare – in considerazione dell’inadeguatezza della tutela meramente demolitoria apprestata dall’art. 1467 c.c.”.
La Relazione conclude specificando che il nuovo art. 9 opportunamente delinea quali sono le sopravvenienze da cui sorge il diritto alla rinegoziazione “precisando che, oltre che sopravvenute e imprevedibili, devono essere estranee anche al normale ciclo economico, integrando uno shock esogeno eccezionale e imprevedibile. La disposizione deve, pertanto, essere interpretata restrittivamente e richiede un rilevante squilibrio tra le prestazioni, da valutarsi alla luce delle concrete circostanze e dello specifico contenuto negoziale”. E’ evidente dunque l’intenzione del legislatore di salvaguardare la finalità e la funzionalità del contratto di appalto, che, come chiarito anche dalla giurisprudenza vista sopra, è naturalmente sottoposto a possibili fluttuazioni del costo di realizzazione di un’opera o di un servizio.
Tutto ciò premesso e considerato, la risposta al quesito non può che essere negativa: NON è possibile inserire clausole nel bando che facciano assumere qualsiasi rischio all’appaltatore, così escludendo sempre la rinegoziazione.

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