3. La “soft law” delle “autorità indipendenti”: il caso delle linee guida ANAC in materia di contratti pubblici

L’elemento che accomuna tale nozione di “soft law” è legato al diritto prodotto da organismi quali le “autorità indipendenti”, ovvero organismi istituzionalmente produttori di regole etiche, deontologiche o comportamentali[12].
Con il decreto legislativo n. 50 del 18 aprile 2016 ed il suo correttivo – d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56 (di seguito semplicemente “Codice”) – il legislatore ha rinnovato il quadro normativo in materia di contratti pubblici e suggellato (benché con efficacia non integrale ed immediata) il tramonto del Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (c.d. “Codice De Lise”), approvato con il D.P.R. n. 207/2010. È stato questo il frutto di una lunga gestazione normativa che aveva trovato luce nella Legge-delega 28 gennaio 2016, n. 11, con la quale sono state recepite le istanze di efficienza amministrativa, competitività e crescita del sistema sottese alle Direttive Europee 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE in materia di appalti pubblici e procedure di aggiudicazione dei contratti di concessione. Di qui la scelta, quale criterio direttivo per il recepimento delle citate direttive comunitarie, di vietare l’introduzione ovvero il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive medesime (art. 1, lett. a), della L. n. 11/2016)[13].
A tal fine, già la Legge-delega, non contemplava l’emanazione di un unico regolamento di esecuzione e di attuazione, bensì l’emanazione di diverse tipologie di atti attuativi. Tra questi l’attenzione è stata indubbiamente catalizzata dagli atti che l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) è stata chiamata ad emanare.
Nello specifico, nell’ambito del nuovo “Codice” degli appalti pubblici e delle concessioni sono individuabili tre tipologie di atti attuativi ad esso riferibili: 1) quelli adottati con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti, su proposta dell’ANAC, previo parere delle competenti Commissioni Parlamentari; 2) quelli adottati direttamente dall’ANAC a carattere vincolante erga omnes, ed in particolare le Linee guida; 3) quelli adottati con delibera dell’ANAC a carattere non vincolante, il cui contenuto viene anch’esso recepito in apposite Linee guida.
Tralasciando queste ultime, assimilabili alle circolari operative a carattere generale – nonché le Linee guida destinate ad essere recepite in decreti ministeriali ad hoc, le quali devono essere categorizzate tra i “regolamenti ministeriali” e che, in quanto tali, seguiranno lo schema procedimentale disegnato dall’art. 17, legge n. 400 del 1988 –, le questioni di inquadramento dogmatico vengono sollevate con riferimento alle Linee guida a carattere cogente che l’ANAC è stata chiamata ad emanare con riferimento ad aspetti determinanti della disciplina delle procedure di aggiudicazione[14].
La Legge n. 11 del 2016 offre utili, per quanto scarne, indicazioni esegetiche in una prospettiva sistematica e ricostruttiva: dal punto di vista sostanziale, la delega riconduce le Linee guida al genere degli “atti di indirizzo” (lett. t) e li qualifica come strumenti di “regolamentazione flessibile”. Inoltre, dal punto di vista procedimentale, alla lett. u) del comma 1 dell’art. 1, prevede l’individuazione dei casi in cui, con riferimento agli atti di indirizzo di cui alla lettera t), l’ANAC, immediatamente dopo la loro adozione, trasmette alle Camere apposite relazioni. Lo stesso art. 213 co. 2 del “Codice” qualifica tali atti come “strumenti di regolazione flessibile”, volti a garantire la promozione dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti e a favorire lo sviluppo delle migliori pratiche.
La possibilità che tali strumenti producano effetti vincolanti sembra, però, riemergere immediatamente, allorché lo stesso art. 213 precisa che “resta ferma l’impugnabilità delle decisioni e degli atti assunti dall’ANAC innanzi ai competenti organi di giustizia amministrativa”.
Orbene, secondo un approccio tradizionale fondato sull’art. 1 delle Preleggi, il sistema delle fonti del diritto sarebbe chiuso e non sarebbero ammissibili fonti secondarie atipiche che, in quanto tali, presenterebbero dubbi profili di compatibilità tanto con il novellato art. 117, comma 6, della Costituzione, quanto con l’art. 17 della Legge n. 400/1988. In altri termini, il regolamento di cui alla L. n. 400/1988 (governativo o ministeriale) rappresenterebbe il tipico ed il solo atto idoneo ad introdurre nell’ordinamento norme giuridiche di rango secondario[15].
Secondo un approccio più moderno, si può invece sostenere che gli interventi dell’ANAC costituiscano esercizio di un’attività normativa secondaria extra ordinemche è la stessa legge ad autorizzare, e che stiamo assistendo, almeno in parte, ad un fenomeno atipico di delegificazione[16]al quale, però, si è opposta la linea conservativa del Consiglio di Stato – chiamato ad esprimere il parere di competenza sullo schema del decreto legislativo redatto dal Governo – che ha negato esplicitamente l’introduzione di una nuova ed atipica fonte del diritto, con tutte le complicazioni ricostruttive che ne sarebbero derivate[17].
Pertanto, le Linee guida (e gli atti ad esse assimilati) dell’ANAC sono state ricondotte alla categoria degli atti di regolazione delle Autorità Amministrative Indipendenti, che non rappresentano regolamenti in senso proprio, ma atti amministrativi generali e, appunto, di regolazione[18]ed una tale ricostruzione esegetica è apparsa al Consiglio di Stato compatibile, oltre che con il dettato della delega e con il sistema delle fonti, anche con l’esigenza inderogabile di un riformato contesto di qualità e certezza regolatoria.
Inoltre, aggiungiamo noi – ed è questa una garanzia del diritto di difesa exartt. 24 e 113 Cost. –, l’assimilazione agli atti amministrativi di regolazione consente la piena giustiziabilità delle Linee guida dell’ANAC dinanzi al Giudice amministrativo, peraltro, già chiaramente affermata dalla Legge-delega nella lett. t) del comma 1, dell’art. 1.
Infine, l’esercizio di poteri regolatori da parte di un soggetto posto al di fuori della tradizionale tripartizione dei poteri del circuito di responsabilità delineato dall’art. 95 della Costituzione, ha nei fatti trovato adeguata giustificazione alla luce di un procedimento partecipativo, inteso come strumento di partecipazione dei soggetti interessati (stakeholders), sostitutivo della dialettica propria delle strutture rappresentative del sistema politico nazionale. A tal fine, l’ANAC ha provveduto ad istituire idonee garanzie partecipative in sede di elaborazione delle proprie Linee guida, predisponendo sistemi di consultazione preventiva, volti a raccogliere il contributo informativo e valutativo dei soggetti vigilati[19].

Note