4. Il punto di vista del magistrato contabile

Gli atti regolatori delle Autorità Amministrative Indipendenti, a ben vedere, predefiniscono un sistema completo e preciso di regole di comportamento (obblighi e divieti) tale da consentire di valutare in modo autonomo, ex ante, con un grado elevato di certezza, i propri e gli altrui comportamenti in termini di liceità ovvero di illeceità.
D’altronde, lo stesso Legislatore delegante, in sede di analisi dello schema del decreto legislativo, preoccupato della genericità del dettato dell’art. 213 del D.Lgs. n. 50 del 2106, sottolineava l’opportunità, per un verso, di normare espressamente le diverse tipologie di Linee guida e la loro efficacia giuridica (tipizzandole con precisione e specificando gli oggetti su cui debbono o possono intervenire), e per altro verso evidenziava l’opportunità di estendere le fattispecie in cui dette Linee guida avrebbero dovuto avere efficacia vincolante, atteso che ad esse è stato attribuito il compito di integrare, unitamente alle disposizioni contenute nel “Codice” dei contratti pubblici, la lex specialisdelle procedure ad evidenza pubblica[20].
Ora, è proprio nel caso di mancata adesione alla “regola”, che ci si accorge che “il soft law è in realtà più law di quanto non sia soft”[21]: il soggetto destinatario può scegliere se seguire le indicazioni oppure discostarsi da esse; tuttavia, in questo secondo caso, deve sempre fornire una motivazione puntuale delle ragioni della propria scelta difforme rispetto a quella indicata. E, ciò, non troppo diversamente da quanto accade nel caso di mancata osservanza di una circolare o norma interna, che sono pur sempre tipiche manifestazioni di normatività nell’ambito dell’ordinamento di settore considerato.
In termini generali, dunque, l’adozione delle linee guida avrebbe l’effetto di delimitare, lasciandolo tuttavia integro, il potere discrezionale esercitato dai funzionari delle amministrazioni cui sono rivolte; di modo che, tutte le volte che questi ultimi vogliano discostarsi dal contenuto delle linee guida, non dovrebbero fare altro che motivare puntualmente le ragioni della diversa scelta amministrativa. Il punto, però, è che ciò servirebbe a spiegare semmai solo la portata delle linee guida non vincolanti, rispetto alle quali il Consiglio di Stato ha precisato che “ferma la
imprescindibile valutazione del caso concreto, l’amministrazione potrà non osservare le linee guida […] se le peculiarità della fattispecie concreta giustificano una deviazione dall’indirizzo fornito dall’Anac ovvero se sempre la vicenda puntuale evidenzi illegittimità delle linee guida nella fase attuativa”. Per contro, la natura vincolante di talune linee guida “non lasc[erebbe] poteri valutativi nella fase di attuazione alle amministrazioni o agli enti aggiudicatori, che sono obbligati a darvi concreta attuazione”.
Ad ogni modo, riteniamo che il carattere direzionale proprio (vincolante o meno che sia) delle linee guida comporti che le stesse debbano essere osservate, a pena di illegittimità degli atti consequenziali e di responsabilità amministrativa-contabile di coloro che li abbiano adottati, per gli eventuali danni erariali (indiretti e/o diretti) che ne siano derivati. Se si muove, infatti, dall’assunto che l’atto è il prodotto della funzione pubblica esercitata da coloro che sono in rapporto di servizio con la p.a., cioè del potere che si svolge all’interno di un procedimento[22], si capisce come ogni caratteristica dell’atto debba potersi spiegare alla luce del relativo procedimento di adozione, che ne è, dunque, lo specchio. D’altronde, l’approvazione di tutte le linee guida Anac avviene all’esito di un unico tipo di procedimento, caratterizzato dalla partecipazione “attiva” dei soggetti cui le stesse sono rivolte, al fine di incrementarne le “probabilità di successo in termini di accettazione e condivisione delle scelte di merito adottate”[23].
Di pregnante significato, dal punto di vista della magistratura contabile, è la sentenza della Corte Costituzionale n. 275 del 2011 che, con riferimento alla natura giuridica delle Linee Guida, ha ravvisato quegli “indici sostanziali” che la costante giurisprudenza costituzionale assume a base della qualificazione degli atti come regolamenti.
In particolare, in presenza di atti di dubbia natura regolamentare, in quanto adottati sulla base di un procedimento differente rispetto a quello delineato dall’art. 17, comma 4, legge 23 agosto 1988, n. 400, la Corte si è altrove richiamata a criteri di carattere “sostanziale”, ossia al contenuto degli atti medesimi, riconoscendo agli stessi natura regolamentare se volti a dettare norme intese a disciplinare, in via generale e astratta, la fattispecie individuata dalla fonte primaria: più precisamente, ha rilevato che “non possono essere requisiti di carattere formale, quali il nomen iuris e la difformità procedimentale rispetto ai modelli di regolamento disciplinati in via generale dall’ordinamento, a determinare di per sé l’esclusione dell’atto dalla tipologia regolamentare, giacché, in tal caso, sarebbe agevole eludere la suddivisione costituzionale delle competenze, introducendo nel tessuto ordinamentale norme secondarie, surrettiziamente rivestite di altra forma, laddove ciò non sarebbe consentito”(Corte cost., sentenza n. 278/2010).
La Corte, pertanto, nella prefata sentenza n. 275 del 2011 ha ascritto alle Linee Guida natura di fonte regolamentare, sulla base di una lettura sostanzialistica, laddove ha ravvisato in esse lo strumento di attuazione della fonte normativa primaria di riferimento. In particolare, ad avviso della Corte, le Linee Guida, quale atto di normazione secondaria, rappresentano, nell’ambito regolatorio dei settori di attività considerati, il completamento del principio contenuto nella disposizione legislativa statale, costituendo “un corpo unico con la disposizione legislativa che le prevede e che ad esse affida il compito di individuare le specifiche caratteristiche della fattispecie tecnica che, proprio perché frutto di conoscenzeperiferiche o addirittura estranee a quelle di carattere giuridico, le quali necessitano di applicazione uniforme in tutto il territorio nazionale, mal si conciliano con il diretto contenuto di un atto legislativo” (Corte cost., sentenza n. 11/2014)[24].
La collocazione delle linee guida, rispetto al sistema delle fonti di diritto, rappresenta comunque un passaggio obbligatorio per chi deve attenersi ad esse e per lo stesso Giudice contabile che si appresti a valutare o risolvere un caso di responsabilità amministrativa connesso all’osservanza o inosservanza di esse. Sebbene, infatti, appartengano al c.d. “soft law”, è indiscutibile la loro rilevanza giuridica.
Bisogna constatare, inoltre, che la loro efficacia, nello specifico settore della contrattualistica pubblica, dipende strettamente dall’espresso richiamo che ad esse fa la citata legge delega n. 11/2016.
In generale, infatti, se una legge richiama determinati parametri, alla stregua dei quali valutare il comportamento degli operatori di un dato settore, non vi è dubbio che essa intenda elevare quella regola di comportamento, cui fa espresso riferimento, ad un rango analogo a quello del diritto positivo, sebbene il precetto non sia direttamente prodotto dalla legge stessa.
In questa prospettiva, che è l’unica possibile, quindi, le linee guida sono utili, (anche) in sede di giudizio contabile, per individuare il preciso comportamento che un determinato operatore avrebbe dovuto tenere, marcando, pertanto, il contenuto di cui all’art. 1176, secondo comma c.c. Ne consegue che il Giudice contabile, chiamato a decidere, ad esempio, della responsabilità del responsabile del procedimento negli appalti e nelle concessioni di cui all’art. 31 del Codice (RUP), deve tener conto dell’esistenza di queste regole – ancorché di per sé non siano dirimenti per il giudizio di condanna o di assoluzione del convenuto – giacché la loro inosservanza fa venir meno lo scudo protettivo contro istanze punitive, che trovino la loro giustificazione nella necessità di sanzionare errori professionalmente gravi commessi nella gestione delle funzioni a detto organo intestate.
In particolare, circa l’elemento soggettivo che contraddistingue la responsabilità amministrativa, il prevalente orientamento della giurisprudenza contabile identifica la “colpa grave” in una sprezzante trascuratezza dei propri doveri, resa ostensiva attraverso un comportamento improntato a massima negligenza o imprudenza ovvero ad una particolare noncuranza degli interessi pubblici. Indice di riconoscimento di tale grado della colpa sono stati da sempre ritenuti la previsione dell’evento dannoso (c.d. “colpa cosciente”) e più in generale la sua prevedibilità in concreto, per chi riveste una figura professionale alla quale vanno richieste particolari doti di diligenza, prudenza e perizia.
Inoltre, il concetto di “colpa grave” deve porsi in rapporto diretto con la qualità dell’organizzazione amministrativa, nel senso che in organizzazioni di livello buono o ottimale la valutazione della gravità della colpa sarà corrispondentemente più rigorosa[25].
Nel comportamento di un funzionario vanno infatti considerate, in particolare, le occupazioni istituzionali a cui è adibito, oltre naturalmente le circostanze in cui è maturato il danno erariale, non ultima l’ipotesi di applicazione di disposizioni complesse e non univocamente interpretate.
A quest’ultimo riguardo, le linee guida costituiscono un valido parametro di riferimento comportamentale, configurando la doverosità di una prudente applicazione di una normativa finalizzata a regolamentare un periodo di passaggio dal vecchio al nuovo sistema, ed obbligando gli operatori ad orientarsi verso una interpretazione conforme alle stesse.
Relativamente alle risorse umane appare, quindi, chiaro come la competenza e qualificazione tecnica, il senso di appartenenza e la motivazione rappresentino un presupposto imprescindibile per l’efficacia e l’efficienza delle stazioni appaltanti. Tutti fattori, questi, riconducibili all’organizzazione interna delle stesse, all’esistenza di strutture tecniche qualificate, all’adozione di best practicesed alla previsione di meccanismi di controllo di gestione, tali da assicurare un livello di trasparenza in linea con la prevista evoluzione del quadro normativo di riferimento.
In un panorama come quello italiano, in cui la pubblica amministrazione committente è composta da un gran numero di stazioni appaltanti (se ne contano oltre 30.000) profondamente disomogenee tra di loro, diventa di fondamentale importanza – anche a fini di prevenzione della corruzione – promuovere la professionalità del buyerpubblico ed in questo senso la certificazione di qualità delle stazioni appaltanti comporta inevitabilmente un cospicuo investimento in termini di risorse, soprattutto umane, al quale la governancepolitica non può sottrarsi, come fino ad oggi ha fatto.
In ragione di tutto ciò, il “Codice” sembrava aver finalmente imboccato la giusta direzione, coniugando il percorso innovatore impresso all’ordinamento di settore con una crescita complessiva di professionalità e qualità, bilanciata da una accresciuta responsabilità degli organi della committenza pubblica.
Orbene, l’accreditamento delle stazioni appaltanti, una volta effettuato (ma così non è stato) avrebbe generato una aspettativa di accountability (governance) dei consociati che avrebbe avuto sicuri riflessi sulla responsabilità amministrativa-contabile degli organi delle medesime stazioni appaltanti rivestenti ruoli e “posizioni di garanzia”[26]per l’esercizio ottimale delle funzioni alle quali essi erano stati adibiti.
Il campo della governance, si riferisce, per l’appunto, all’obbligo, per un soggetto, di essere responsabile dei risultati conseguiti. Rimanda al dovere dei decision makers, identificabili nei soggetti a vario titolo coinvolti nella gestione degli appalti exart. 101 del Codice (il “soggetto responsabile dell’unità organizzativa competente in relazione all’intervento” exart. 31 del Codice, il RUP dallo stesso designato, il direttore dell’esecuzione del contratto o il direttore dei lavori, il coordinatore in materia di salute e di sicurezza, i collaudatori, i progettisti e verificatori della progettazione, i membri delle commissioni giudicatrici exartt. 77 e 78 del Codice ecc.) di rendere conto delle loro scelte e delle loro azioni e di rispondere delle conseguenze di esse. Riconosce alla collettività il diritto di essere informata di tali decisioni, di criticarle e di avere risposte.

Note